Patto di stabilità

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In questi giorni si parla molto della necessità di attivare la realizzazione di opere pubbliche al fine di dare ossigeno ad una economia in piena recessione.
E’ stato perciò rispolverato il progetto del ponte sullo stretto di Messina e ci si accinge a dare il via ad altri progetti, faraonici o meno, indispensabili o meno.
Nello stesso filone possiamo inserire la proposta del “premier” di dare un colpo di spugna su tutti i piani regolatori e permettere ai proprietari di ville un ampliamneto fino al 20%.
La proposta è apparentemente democratica perchè è indirizzata ad ogni proprietario di casa, ma, con tutta la fervida immaginazione disponibile, è piuttosto difficile concepire come un proprietario di appartamento in un condominio possa operare per ampliarlo.

Ritornando alle proposte del governo per favorire una ripresa dell’economia tramite investimenti in infrastrutture, essa non è sbagliata concettualmente; si può discutere se quelle proposte siano le opere più utili ma non lo voglio fare in questa sede.
Su questo punto, il discriminate delle scelte effettuate è la necessità di attivare opere immediatamente cantierabili.

Ed ecco il vero problema.
Questi progetti ben difficilmente saranno attivabili in tempi brevi, o comunque avranno effetti benefici sull’occupazione e sull’economia limitati nel breve termine.

D’altra parte, assistiamo contemporaneamente ad un vero e proprio blocco delle opere dei comuni.
Il patto di stabilità,nell’ultima versione tremontiana, impedisce di fatto anche ai comuni che sono in ordine coi conti e hanno disponibilità di liquidità di adoperarla per la realizzazione di opere pubbliche.
Cosicchè, per esempio, il Comune di Milano, che mi risulti si stia finanziando con la vendità di immobili, non può utilizzare questi proventi per la realizzazione delle linee della metropolitana 4 e 5, i cui lavori rischiano di essere bloccati.
E in questa situazione si trovano diversi comuni e opere.

Svolta radicale per il nostro Ministro che, fino a poco tempo fa, chiedeva all’Unione Europea di escludere gli investimenti per infrastrutture dal computo del deficit e dal patto di stabilità europea.
Qui addirittura non permette di operare anche se vi è disponibilità di finanziamenti.

Il problema è che molte di queste opere sono già in costruzione e rischiano di fermarsi.
Che senso ha dunque bloccare opere già in costruzione o prossime ad essere cantierate per proporre opere faraoniche che non porteranno beneficio a breve?
Dare agli enti locali la possibilità di portare a compimento le opere in corso (ed in alcuni casi di intraprenderle) avrebbe diversi vantaggi.

Dando questa facoltà ai comuni che possono farlo senza chiedere soldi allo stato non peggiorerà lo stato delle finanze.
Se le opere sono in corso di realizzazione, si evita di fermarle e di creare disoccupazione in un momento critico. In aggiunta, in questo caso, il provvedimento avrà subito effetto sull’economia reale.
Inoltre il completamento di opere d’infrastruttura locale non solo miglioreranno la qualità della vita localmente, ma saranno di stimolo per migliorare la produttività e incrementare la ricchezza prodotta.

In conclusione, questa maggioranza a parole “federalista” si sta mostrando sempre più “centralista” (vedi ad esempio il caso “EXPO”).
Inoltre si dimostra incapace di senso pratico.
Come per altri provvedimenti, come ad esempio quello sugli straordinari e sulle centrali nucleari, dimostra di vivere fuori dalla realtà e di non tenere conto dei reali bisogni della collettività.
Scelte che non porteranno bene alla nostra collettività.

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