La paura dello Spread

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Forse l’avevamo dimenticato, forse non ne abbiamo avuto coscienza, ma questi anni “tranquilli” di finanza allegra sono stati il frutto dell’abbassamento dello spread ottenuto verso la fine degli anni ’90.

Ho raccontato questa storia in un post di qualche anno fa, Occasione Persa, che ho scritto ben prima di questa crisi e che vi invito caldamente a leggere (o a rileggere, se già l’avete fatto), specialmente nelle sue conclusioni.

Oggi mi ripropongo di aggiornare i dati e le conclusioni di quel racconto: gli accadimenti di questi ultimi mesi rendono chiaro il senso di amarezza e di arrabbiatura che aveva generato le mie considerazioni sulla politica fiscale di Tremonti e del governo Berlusconi, a prescindere da ogni altra valutazione politica.

Dunque, Prodi e Ciampi, a partire dal 1996, con rigore e sacrificio di noi tutti riescono a fare scendere il nostro rapporto Deficit/PIL; anche il rapporto Debito/PIL cala bruscamente: queste azioni dimostrano ai nostri creditori che l’Italia era in grado di gestire il proprio debito e di entrare nell’Euro (fino ad allora nessuno ci dava credito di potere accedere all’ingresso nella moneta unica).
Questa fiducia si traduce in un abbassamento dello spread dell’interesse tra i nostri titoli e quelli tedeschi, che allora navigava su valori anche più alti di quelli odierni.

(nel grafico il rapporto deficit/PIL per quest’anno è la previsione antecedente alle varie manovre effettuate, in realtà sarà più basso)

La riduzione dei tassi vale a fine legislatura un risparmio annuo di più di 40 miliardi di Euro; questo valore s’incrementerà negli anni successivi, mano a mano che i titoli emessi a tassi onerosi venivano a scadenza. Ulteriore contributo sarà dato dalla diminuzione congiunturale dei tassi.

Nonostante la bassa crescita degli anni dei governi Berlusconi 2 e 3, nonostante l’allentamento della politica di rigore del bilancio, il rapporto debito/PIL scende fino a poco meno del 104% nel 2004 per ritornare però a salire.
Il governo Prodi 2 lo riporta al 103,5% nel 2007, ma l’anno successivo supera il 106%.

Ciò che succede dopo, è storia recente. Il nostro PIL crolla per effetto della crisi, rialzando il rapporto debito/PIL, le spese dello stato non diminuiscono, incrementando la dinamica di aumento di questo rapporto e nel giro di poco siamo ritornati ad un rapporto del 120% previsto per quest’anno (forse le ultime manovre miglioreranno il trend).

Questo il dato oggettivo che aggiunto alla poca credibilità del nostro vecchio governo (che ha sempre negato che la crisi ci fosse per l’Italia), ha fatto ricredere i creditori sul fatto che noi fossimo in grado di gestire il nostro debito. Le prospettive basse di crescita del PIL hanno dato il colpo finale.

Le colpe di Berlusconi e Tremonti sono state principalmente due.

La prima è stata quella di fare una politica populista a danno del nostro bilancio.
Le elezioni del 2001 sono state vinte all’insegna del referendum tra il partito delle tasse e quello dello sviluppo (purtroppo non si è avuto neppure lo sviluppo: tra il 2001 e il 2006 il tasso di crescita è stato uno dei più bassi mai registrati). Ciò ha impedito di proseguire con un certo rigore di bilancio che, unito al basso tasso d’interesse, avrebbe potuto diminuire il nostro debito in modo consistente.
Nel grafico, la linea gialla di trend indica per il 2008 un possibile rapporto del 95% contro il 106%. Credo che questo valore avrebbe potuto anche essere migliore.
Partendo da questo livello, oggi il nostro debito sarebbe più basso di circa il 10% che equivarrebbe ad un risparmio di quasi 2 miliardi di Euro per ogni punto d’interesse pagato (coi tassi che si approssimano al 7%, il risparmio tendenzialmente sarebbe di quasi 14 miliardi annui a regime).

Il secondo errore è stato quello di sottovalutare e nascondere la situazione reale dei nostri conti.
Invece di rispondere ai richiami provenienti da più parti, si è tentato di negare. Si è fatto qualcosa sottobanco (ai danni dei soliti) ma senza la necessaria spinta che la gravità della situazione prospettava.

Potrei aggiungere un terzo errore: l’avere effettuato una politica fiscale che da un lato ha premiato pochi eletti e dall’altro ha penalizzato non solo i più deboli, ma grandemente il ceto medio.
Vi sono state almeno due conseguenze funeste: mancanza di coesione (dovuta a mancanza di equità) e depressione del mercato interno per la contrazione di spesa dovuto al trasferimento del reddito a classi più agiate.

Sono convinto che nel campo della politica si possa affermare tutto e il suo contrario senza tema di smentite immediate; che l’elettore e il cittadino tenga perciò viva la sua memoria e analizzi i dati e la storia recente.
Qualcuno nel prossimo futuro si presenterà, nuovamente, come il partito della crescita e contro le tasse.
Prima di credergli, si guardi dietro le spalle a ciò che è già accaduto.

I grafici rappresentati sono mie elaborazioni su dati ISTAT.

 

 

 

 

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