Si parla di tasse….

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Un fondo di Panebianco sul Corriere della Sera di Lunedì tenta di riproporre il tema della diminuzione delle tasse.

Se, pragmaticamente, si può sottolineare come questo non sia un momento buono, alcune sue argomentazioni richiedono però alcune riflessioni.

E’ primo a riconoscere che il problema delle tasse non è l’unico a frenare la crescita del paese ma, fatto l’esempio della giustizia, subito lo accantona.
Così sfugge all’evidenza che paesi come Danimarca e Svezia, pur avendo tassazione molto elevata, risultano essere tra i paesi più competitivi. Dimentica che la Francia, che ha una tassazione non certo tanto più bassa della nostra e alla quale aggiunge un orario di lavoro più ridotto, risulta essere più competitivo di noi.

Competitività, in questo mondo globalizzato, significa avere tassi di crescita più alti, ciò che Panebianco definisce un valore e che in se giustificherebbe la diminuzione delle tasse.
Se aumenta la ricchezza prodotta e, quindi, disponibile, non può che essere un bene; ma questo bene si attua solo a fronte di una più equa ridistibuzione.  

Ridurre le tasse significa ridurre la spesa, ma Panebianco si arruola nella squadra funesta di quelli che sostengono che diminuendo le tasse aumenterà la ricchezza prodotta e conseguentemente non sarà necessario ridurre la spesa.
Questa sciagurata posizione è stata sperimentata con il secondo governo Berlusconi, quando Tremonti si presentò in tv con grafici che mostravano, come pur diminuendo le tasse sarebbe stato in grado di far quadrare i conti: il risultato fu disastroso per il nostro debito e per il nostro presente; oggi si starebbe un po’ meglio se quella politica non fosse stata attuata (i dettagli sono stati oggetto di un altro mio post). Ricordo che allora promise di dimettersi se non fosse riuscito nel suo intento: sono ancora ad attendere che dimostri, una volta tanto nella vita (pubblica), di essere di parola.

Dicevamo che tagliare le tasse significa tagliare la spesa: come ogni persona, impegnata a far quadrare il proprio bilancio conosce, al diminuire delle entrate devono corrispondere delle diminuzione di spesa, a meno che il bilancio non sia costantemente già in attivo.

Possiamo considerare la spesa pubblica composta da alcuni componenti:

1) Spesa per il funzionamento dell’apparato statale (polizia, forze armate, giustizia, politica, amministrazione ecc.)
2) Spese per investimenti (sopratutto infrastrutturali) e manutenzione infrastrutture
3) Spese per servizi (scuola, sanità)
4) Spesa per il debito

Volendo tagliare le tasse, perciò operare sulle spese, bisognerà decidere su quali di queste voci operare.
Certo, vi sono enormi sprechi; e questi dovrebbero essere il primo obiettivo della riduzione di spesa. L’esperienza dice che, nel migliore dei casi, se sono eliminati degli sprechi, il risparmio viene buttato in altre regalie: risultati validi la politica non riesce e proporli perchè troppo bisognosa di creare consenso.

Comunque, oltre agli sprechi, qualcosa d’altro andrà toccato.
La spesa per il debito non dipende da noi, ma fondamentalmente dai tassi d’interesse e dall’ammontare del debito.
Sulle prime due voci si possono effettuare tagli, ma limitati (alcuni settori oggi sono malamente finanziati).

Si può intervenire sui servizi: come ad esempio la sanità o la scuola. Ma questo vuole dire intervenire sulla ridistribuzione del reddito (ciò che non mi da lo stato me lo devo pagare da solo). Questa scelta penalizza proprio le persone che meno ci guadagnerebbero dalla riduzione delle tasse.
Forse hanno delle ragioni ad opporsi a questa manovra: non si tratta di essere conservatori!
Ritengo anche poco etico, togliere servizi essenziali, servizi che puntellano la coesistenza sociale, a persone per le quali sono importanti, per dare più ricchezza ad altre che non ne hanno bisogno e che, per altro, le utilizzerebbero per comprare SUV se non calciatori (altra cosa sono i ceti medi, ma loro sono tra le prime vittime dei tagli allo stato sociale).

Volendo concludere questo intervento, posso confermare che una riduzione delle tasse possa essere positiva ed aiutare in qualche misura la crescita della ricchezza prodotta (cosa che comunque non avverrà se non si prenderanno provvedimenti per rendere più efficiente e competitivo il paese), ma devo evidenziare come la riduzione delle tasse non deve andare ad intaccare quel poco che rimane del welfare (per usare un termine alla moda) dello stato che a fatica opera affinché non si producano lacerazioni pericolose nel tessuto sociale del nostro paese.

Sembra che lo abbia capito anche Tremonti….

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